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L’abitualità come discrimine tra i maltrattamenti e l’abuso dei mezzi di correzione

di gelsomina cimino
12-09-2017

Con la sentenza 40959/2017 la Suprema Corte è tornata ad interessarsi del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) in danno di un minore di anni 14, sottolineandone gli elementi di distinzione dal delitto di abuso dei mezzi di correzione di cui all’art. 571 c.p.

http://studiolegalecimino.eu/labitualita-discrimine-maltrattamenti-labuso-dei-mezzi-correzione/ Con la sentenza 40959/2017 la Suprema Corte è tornata ad interessarsi del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) in danno di un minore di anni 14, sottolineandone gli elementi di distinzione dal delitto di abuso dei mezzi di correzione di cui all’art. 571 c.p. Il caso è quello di un’insegnante della scuola materna cui il Tribunale di Reggio Calabria aveva sostituito alla misura degli arresti domiciliari, quella interdittiva dell’esercizio del pubblico ufficio per la durata di mesi 12, perché ritenuta responsabile, in concorso con la collega, del delitto di maltrattamenti in famiglia ai danni degli alunni minorenni a lei affidati. Nel ricorrere alla Corte di Cassazione, la ricorrente lamentava l’integrale carenza di motivazione dell’ordinanza impugnata, che secondo la difesa si era limitata a replicare alle argomentazioni già espresse dal Giudice per le indagini preliminari. Si lamentava altresì che il Tribunale del Riesame non aveva verificato se l’indagata fosse o meno mossa da un personale animus corrigendi, ciò che avrebbe indotto il Tribunale stesso a ritenere la sussistenza del più lieve delitto di abuso dei mezzi di correzione, in cui più correttamente avrebbe dovuto essere inquadrata la condotta dell’agente, vista la sua inidoneità ad esprimere reale violenza fisica o psicologica. La Suprema Corte respinge entrambe le doglianze mosse, facendo constatare come il Tribunale del Riesame avesse correttamente riscontrato che le immagini registrate denotavano piuttosto l’esistenza di condotte che travalicano sia i comportamenti di rinforzo educativo, sia l’abuso dei mezzi di correzione, e che pertanto la qualificazione adottata dall’ordinanza si rivela pienamente conforme alla giurisprudenza di legittimità prevalente, secondo la quale l’abuso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche laddove sia sostenuto da animus corrigendi, non può essere inquadrato nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, invece, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo avuto modo di affermare e ribadire che "L'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti". D’altronde, proseguono gli Ermellini, "Con riguardo ai bambini il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo.” E, in ogni caso non può ritenersi tale l'uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perchè non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo della personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di connivenza, utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice. Al riguardo, infatti, deve soggiungersi che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare, quale che sia l'intenzione del soggetto attivo, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità (Sez. 6, n. 34492 del 14/06/2012; Sez. 5, n. 47543 del 16/07/2015). La norma di cui all'art. 572 c.p., nella prima parte, si limita a punire la condotta di chiunque, al di fuori del caso indicato nell'art. 571 c.p., “maltratta” una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte. La legge, quindi, non precisa in che cosa consistano quei maltrattamenti che rappresentano il requisito obiettivo del reato: ecco dunque che il contenuto del delitto de quo non può che essere ricostruito attraverso l'esame dell'evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi negli ultimi anni. Certamente, nella fattispecie criminosa vanno ricompresi tutti quei fatti che ledono o pongono in pericolo beni che l'ordinamento giuridico già protegge con norme penali, quali l'incolumità personale, la libertà, il decoro, l'onore e così via. Laddove, invece, perchè possa qualificarsi una condotta come la fattispecie penale prevista dall'articolo 571 c.p. è necessario che la stessa travalichi i limiti dell'uso dei "mezzi di correzione". L’abuso, in definitiva, ha come presupposto, logico e necessario l'esistenza di un uso lecito dei mezzi in questione: l'abuso del mezzo di correzione si pone infatti come abuso di un potere di cui alcuni soggetti sono titolari nell'ambito di determinati rapporti (di educazione, istruzione, cura, custodia, ecc.), potere che deve essere esercitato nell'interesse altrui, ossia di coloro che possono diventare soggetti passivi della condotta. Con più particolare riferimento all'ambito scolastico, il concetto di abuso presuppone l'esistenza in capo al soggetto agente di un potere educativo o disciplinare che deve essere usato con mezzi consentiti in presenza delle condizioni che ne legittimano l'esercizio per le finalità ad esso proprie e senza superare i limiti tipicamente previsti dall'ordinamento. Ne consegue che, da un lato, non ogni intervento correttivo o disciplinare può ritenersi lecito sol perchè soggettivamente finalizzato a scopi educativi o disciplinari; e, d'altro lato, può essere abusiva la condotta, di per sè non illecita, quando il mezzo è usato per un interesse diverso da quello per cui è stato conferito, per esempio a scopo vessatorio, di punizione esemplare, per umiliare la dignità della persona sottoposta, per mero esercizio d'autorità o di prestigio dell'agente. Si è a tal riguardo affermato che l'uso sistematico della violenza o di trattamenti afflittivi della personalità del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non pò' rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (tra tante, Cass. Sez. 6, n. 53425/2014; Sez. 6 n. 34492/12). L'esercizio della funzione correttiva con modalità afflittive e deprimenti della personalità, nella molteplicità delle sue dimensioni, contrasta infatti con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace di integrale e libera espressione delle sue attitudini, inclinazioni ed aspirazioni. Pertanto quando un siffatto esercizio, nel contesto della famiglia ovvero di rapporti di autorità o di dipendenza, si ripeta con abituale frequenza nei confronti dello stesso soggetto, l'intento correttivo resta escluso e si versa nell'ipotesi criminosa dell'articolo 572 c.p. dei maltrattamenti in famiglia avverso fanciulli. @Produzione Riservata Studio Legale Gelsomina Cimino www.studiolegalecimino.eu

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